Presto cambieranno gli importi delle pensioni minime, anche se per il Governo si profila un grosso problema di coperture.
La pensione minima non è altro che un assegno erogato dall’INPS e destinato a coloro che attraverso l’anzianità o i contributi (o il sistema misto) hanno maturato una pensione molto bassa. L’aggettivo “minima” fa riferimento a una soglia, il tetto al di sotto di cui si stima sia complicato tirare avanti. C’è dunque una certa cifra che viene giudicata dallo Stato come il “minimo vitale” per garantire un sostentamento adeguato a una persona per affrontare il presente nel nostro Paese.
Ogni anno gli importi del trattamento delle pensioni minime vengono adeguati all’inflazione, come succede anche per le pensioni in generale e per altri trattamenti assistenziali, come per esempio dell’assegno sociale e l’assegno unico universale. Per avere diritto alla pensione minima, è necessario avere raggiunto i 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi (1040 settimane).
Bisogna anche avere una pensione con un contributo mensile inferiore a 515,00 euro. E chi non ha contributi maturati entro il 31 dicembre 1995, in pratica, non ha diritto alla pensione minima. Nel 2024 il trattamento minimo di pensione è salito a 598,61 euro grazie al recupero dell’inflazione fissato al 5,4%.
Poi, però, attraverso una norma della vecchia legge di Bilancio del 2023 (che prevedeva per il 2024 un incremento ulteriore del 2,7% per le pensioni che non superano la soglia minima), l’importo è salito fino a 614,77 euro. Per l’anno prossimo ci potrebbero essere novità molto importanti.
Tutto dipende dalla soglia fissata come minimo. E poi dal lavoro dell’INPS con cui si ricercano tutti quei pensionati che vivono con un assegno al di sotto di questa soglia. Costoro sono coloro che hanno alle pensioni minime sotto forma di integrazione.
Per fare un esempio pratico, che chi prende solo 300 euro di pensione può godere di un incremento di 298,61 euro in modo da raggiungere l’importo minimo. Ma quando il complesso dei redditi del pensionato risulta inferiore a 7.781,93 euro l’anno, cioè l’importo del trattamento minimo annuo, l’integrazione spetta per intero. Se è superiore ma comunque al di sotto di 15.563,86 euro (cioè due volte il trattamento), l’integrazione è parziale. Si calcola sottraendo il reddito del pensionato alla soglia di 15.563,86 e si divide per 13.
Per il 2025 cambierà la percentuale stimata per il recupero dell’inflazione. C’è già una cifra, contenuta nel DEF, che è pari all’1,6%. Questo significa che la soglia minima potrebbe salire di 9,57 euro. E così si arriverebbe a pensioni minime con importi pari a 608,18 euro. Cioè 7.906 euro circa l’anno.
C’è un però: il Governo deve ancora sciogliere le riserve sulla possibilità di confermare anche la rivalutazione straordinaria del 2,7% che ha introdotto quest’anno. E sembra che non abbia le coperture per farlo. I fondi stanziati bastano appena al 2024, secondo quanto calcolato dall’INPS.
Non si sa quindi se nel 2025 le pensioni minime potranno raggiungere quota 625 euro. Secondo alcuni analisti, in effetti, c’è anche la possibilità che le cifre si abbassino. L’importo potrebbe alla fine essere più basso rispetto a quello attuale. Sarebbe di 608 euro, molto meno rispetto ai 614 euro attuali.
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