Economia

Pensioni, come vivi dopo 35 anni di contributi

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Samanta Airoldi

Hai raggiunto 35 anni di contribuzione? Puoi andare subito in pensione. Ma ti conviene? Vediamo a quanto ammonta l’importo.

Attualmente, nel nostro Paese, bastano 20 anni di contributi per andare in pensione. Dunque se ne hai raggiunti 35 e hai già compiuto 67 anni, puoi tranquillamente smettere di lavorare. Ma l’importo dell’assegno previdenziale sarà sufficiente per vivere dignitosamente? Il dubbio di molti lavoratori è proprio questo.

Se hai 67 anni e 35 anni di contributi puoi andare in pensione/Ecodibasilicata.it

Il mondo delle pensioni, in Italia, è un labirinto fatto di regole che pochi conoscono. Inoltre ogni anno vengono cambiati i requisiti per accedere a determinate misure. Ad oggi per andare in pensione è necessario avere almeno 67 anni e non meno di 20 anni di contributi. Certo: con solo 20 anni di contributi bisognerà accontentarsi della pensione minima che, ad oggi, corrisponde a circa 600 euro al mese.

Visto che, per la pensione di vecchiaia – stando a quanto ha stabilito la legge Fornero – sono sufficienti 20 anni di contributi, se ne hai raggiunti 35 e hai già 67 anni, puoi smettere subito di lavorare. Il dubbio di molti, però, è il seguente: conviene davvero lasciare il lavoro? Infatti, troppo spesso, ci si trova con assegni previdenziali troppo bassi per poter andare avanti.

Pensione con 35 anni di contributi: ecco quanto prenderai

Se hai compiuto 67 anni e hai 35 anni di contributi, puoi uscire dal lavoro e goderti la tua pensione per il resto della tua vita. Il punto su cui riflettere è se ti conviene. Vediamo a quanto ammonterà il tuo assegno mensile se hai lavorato per 35 anni.

Ecco quando prenderai di pensione dopo 35 anni di lavoro/Ecodibasilicata.it

Le pensioni, dal 1996 in avanti, vengono calcolate con il sistema di calcolo contributivo. Fino al 1996 era in vigore il sistema retributivo che teneva conto della media delle retribuzioni percepite da un lavoratore durante gli ultimi anni della sua carriera. La riforma Dini del 1995 ha segnato un’inversione di rotta decisiva che ha avuto un fortissimo impatto sulle pensioni.

Dal 1996 in poi, dunque, l’importo dei nostri assegni pensionistici dipende da due fattori: i contributi che abbiamo versato e l’età a cui andiamo in pensione. Il sistema contributivo, infatti, funziona così: l’insieme dei contributi versati viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che aumenta con l’aumentare dell’età.

Ad incidere sull’importo della pensione, naturalmente, è anche lo stipendio di una persona: ogni mese un lavoratore – o il datore di lavoro- versa all’Inps una percentuale di contributi che oscilla tra il 25% e il 33%. Va da sé che il 33% di 1000 euro è ben diverso dal 33% di 3000 euro.

Poniamo il caso di un lavoratore dipendente che ha 67 anni e 35 anni di contributi. Supponiamo che questo lavoratore per 10 anni abbia guadagnato 1000 euro al mese, per 10 anni 2000 euro al mese e durante gli ultimi 15 anni di carriera il suo stipendio sia salito a 2500 euro al mese. Con il sistema di calcolo contributivo, questo lavoratore, se deciderà di andare in pensione, riceverà un assegno mensile di 1320 euro: quasi la metà dell’ultimo stipendio.

Samanta Airoldi

Laurea e Dottorato in Filosofia, svolgo il lavoro di redattrice dal 2015. Scrivo prevalentemente articoli di Politica ed Economia ma mi piace anche occuparmi di fitness e benessere. Nel mio tempo libero amo fare sport, andare al cinema e guardare serie tv.

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