Perdere l’opportunità di andare in pensione solo per colpa di un debito non più pagato. Può accadere davvero.
Le cartelle esattoriali possono segnarci la vita, nonostante le occasioni che ci vengono date per sanarle o estinguerle. Ma non è tutto così semplice. E talvolta possono perfino toccare, indirettamente, le pensioni.
Una cartella esattoriale non pagata può davvero compromettere la pensione. Il collegamento tra cartelle esattoriali e pensioni riguarda i debiti contributivi verso l’INPS. Se non si versano i contributi previdenziali all’INPS dopo i primi tentativi di ottenere il pagamento da parte dell’Istituto previdenziale, può intervenire l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
I contributi previdenziali sono i versamenti che si trasformano in rendita quando il lavoratore va in pensione per coprire e tutelare gli anni della vecchiaia. Sono quindi oneri, ma importantissimi per assicurarsi un futuro di relativa tranquillità. Se non vengono versati, l’INPS non può concedere il diritto alla pensione. Chi ha un anno di versamenti mancanti non può andare in pensione fino a quando non completa il versamento di quell’anno. Nei casi limite alcune persone hanno perso la pensione proprio a causa di queste cartelle.
Tra le molte soluzioni per il contribuente in difficoltà davanti alle cartelle esattoriali ci sono rottamazioni e sanatorie. Per i contribuenti indebitati con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, una sanatoria, un condono, una rottamazione o un saldo e stralcio sono certamente provvedimenti vantaggiosi, poiché riducono il conto da pagare all’Agenzia. Tuttavia, questo è vero solo se la cartella esattoriale riguarda tasse, imposte, multe o tributi. Ma se una cartella esattoriale cancellata riguarda i contributi perde anche un anno di contributi che potrebbe essere decisivo per aumentare l’importo della pensione o, nel caso peggiore, per determinare il diritto alla pensione stessa.
Se un contribuente ha un anno di contributi non versati all’INPS e ha ottenuto la cancellazione di questo debito non raggiunge in questo modo la quota minima necessaria per il pensionamento. Dunque la cancellazione del debito si trasforma in un’arma a doppio taglio: benefici immediati, ma un pezzo da pagare dopo. Una situazione del genere sarebbe sanabile da scongiurare, perché alla fine risulta solo attraverso versamenti volontari, se l’INPS concede l’autorizzazione. La soluzione più lineare sarebbe colmare il vuoto contributivo lavorando ancora ma, anche per l’età, non sembra essere la soluzione più agevole.
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