Come spiegare i motivi per cui l’estradizione in alcuni Paesi europei non sempre è così semplice da ottenere.
Poniamo il caso che un cittadino italiano abbia commesso un reato oltreconfine, in un Paese membro dell’Unione Europea: ebbene, cosa succede a questo punto al nostro connazionale? Deve scontare la pena e l’eventuale periodo di reclusione nel Paese presso cui ha commesso il reato?
Oppure può essere re-introdotto in Italia, ove il sistema giudiziario provvederà a fargli rispettare la condanna? O ancora, nel caso in cui a seguito del reato e prima di essere “acciuffato” si sia rifugiato nel Paese di origine, può – oppure deve – essere rimandato nel luogo in cui ha commesso il crimine?
In questi casi si fa riferimento all’istituto giuridico della cosiddetta estradizione: si tratta di una forma di cooperazione giudiziaria tra gli Stati che consente di effettuare le procedure necessarie affinché un individuo sottoposto a sanzioni o a giudizi penali possa essere consegnato da uno Stato all’altro. Il nostro ordinamento contempla due tipi di estradizione: quello passivo, ovvero verso l’estero, e quello attivo, ovvero dall’estero.
In entrambi i casi, l’estradizione può essere richiesta per motivi processuali, detti anche di cognizione, affinché l’estradando venga sottoposto a processo; oppure per motivi esecutivi, ovvero al fine di applicare ed eseguire la sentenza di condanna comminata a suo carico. Perché, dunque, tra Paesi membri dell’Unione Europea l’estradizione non è automatica? Ecco le spiegazioni del professor Labayle.
Secondo il professore di Diritto all’Università di Pau in Francia Henry Labayle, il motivo per cui l’estradizione non avviene automaticamente tra Paesi membri dell’Unione Europea è “qualcosa di semplice ed allo stesso tempo complesso”. Semplice, secondo il professore, da un punto di vista politico: “Perché si possa mandare qualcuno in prigione da un Paese all’altro, bisogna prima avere fiducia nell’altro Paese coinvolto”.
Dunque una questione di rapporti tra gli Stati che, come ricordato dal professore, in passato ha reso i processi di estradizione particolarmente lunghi e complessi, come quando durante la lotta al terrorismo degli anni ’80, “la Francia ha estradato terroristi dell’ETA verso la Spagna. Ma ci sono voluti trent’anni per farlo”.
Complesso, invece, per quello che il professore ricorda essere il principio della doppia incriminazione: “Per poter estradare qualcuno verso un altro Paese, si deve essere sicuri che le persone abbiano davvero commesso il reato di cui sono accusate e che questo sia percepito e punito più o meno nello stesso modo nei due Paesi. […] E in un sistema come l’Unione Europea – ha proseguito il professore – dove esistono 27 sistemi giuridici diversi, c‘è la possibilità di avere ventisette piccole differenze”.
Tuttavia, come ricorda Labayle, nel 2002 il Consiglio Europeo ha introdotto il Mandato d’Aerresto Europeo (MAE), come espressione del principio di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri che in parte supera il principio della doppia incriminazione, rendendo le procedure assai più semplici e celeri.
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