Una parola sbagliata ed un equivoco. Tanto può bastare per bloccare un conto corrente quando meno ce lo aspettiamo.
Un inconveniente che sembra cosa da poco. E invece innesca una reazione a catena imprevedibile ed esasperante. La causale di un bonifico provoca la chiusura di un conto corrente per un mese. È successo a un risparmiatore per aver usato, peraltro in buona fede, una parola considerata “sospetta”, L’automazione dei sistemi di controllo delle transazioni finanziarie non cancella i rischi. E di conseguenza non mancano controlli di diversa natura, con tutti gli inconvenienti del caso.
La situazione da cui nasce il disguido è solo una tra le tante che possono capitare. Il cliente della banca, in ragione del suo lavoro, dopo aver partecipato in Finlandia a un seminario di lavoro stava correttamente addebitando al proprio datore di lavoro le spese – viaggio e albergo – già pagate con la propria carta di credito. Il cliente lavora per un’organizzazione che si occupa di fornire servizi culturali a comunità rurali scarsamente popolate. Il tema del seminario era sul tema delle attività culturali per zone rurali scarsamente popolate – “harvaan asutusta maaseudusta” – segnalate con l’acronimo “HAMA” che è parte della causale usata, ossia “hama-seminaari” ovvero seminario hama. La formula è del tutto coerente con la lingua del luogo. Nell’eseguire il bonifico dell’importo di 572 euro, l’uomo ha scritto nella causale la parola “hama” seguito dalla “S” del sostantivo “seminaari”. Ed è scattato l’allarme. . La paura era che si trattasse di fondi indirizzatati all’organizzazione terroristica.
Qualcosa di completamente inaspettato
Accortosi del conto bancario bloccato, il cliente ha contattato il datore di lavoro e la banca ma ha dovuto aspettare quasi quattro settimane prima che qualcuno della banca lo contattasse per chiedergli spiegazioni sulla parola sospetta utilizzata nella causale. Prima e dopo il colloquio non sono mancati messaggi al servizio clienti della sua banca per cercare di ottenere la diponibilità del conto corrente. La svolta c’è stata solo quando il suo datore di lavoro ha contattato la banca a cui era destinata la transazione.
Pare che la banca abbia fatto alcuna indagine per comprendere il contesto al quale era collegata la parola sospetta. Nonostante l’istituto sapesse chi fosse il suo datore di lavoro, non ha subito preso in considerazione la possibilità di consultare altre fonti. Bastava una ricerca di pochi minuti per confermare prontamente la validità delle informazioni fornite dal cliente.
La parola sbagliata, soldi bloccati
Solo dopo giorni il cliente è riuscito a interloquire con un rappresentante della banca, fornendo spiegazioni e il motivo della parola sospetta utilizzata nella causale. Solo allora i suoi fondi sono stati sbloccati e gli è stata concessa un’indennità di 100 euro per l’inconveniente. Il caso solleva interrogativi sul funzionamento delle banche, cui controlli ed il dialogo con i clienti. Se è essenziale garantire la sicurezza delle transazioni finanziarie e prevenire attività illegali, è cruciale che le banche siano in grado di distinguere prontamente tra attività sospette e transazioni legittime senza provocare disservizi di questa durate e gravità.