Spettacolo

Carne coltivata, l’Italia rischia una procedura d’infrazione dell’Ue

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Federica Giovannetti

La legge approvata in via definita dal Parlamento ne vieta la produzione e la commercializzazione e potrebbe essere in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci all’interno del mercato europeo sancito dal diritto comunitario

 

Lo scorso 16 novembre l’aula della Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione della carne coltivata, con tanto di protesta fuori dal palazzo che ha rischiato di sfociare in scontro fisico tra gli esponenti di +Europa e i vertici di Coldiretti. L’Italia è così il primo Paese nel Vecchio Continente e nel mondo a mettere al bando alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti animali. Ora da più parti, a cominciare dagli uffici del Quirinale, si teme una procedura di infrazione da parte di Bruxelles.

Italia a rischio procedura d’infrazione europea

Il timore più che fondato è che il provvedimento entri in conflitto con il diritto europeo. Bruxelles dovrà verificare la conformità del testo. Il divieto di importazione e vendita nel mercato italiano in particolare potrebbe violare il principio della libera circolazione delle merci in Europa. Secondo indiscrezioni, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dovrà promulgare la legge, teme una procedura d’infrazione da parte dell’Ue.

Un mese fa il governo aveva ritirato la notifica Tris che ogni Paese membro è tenuto a inviare alla Commissione europea al fine di prevenire ostacoli all’interno del mercato interno. Una mossa che in molti, come Essere Animali, hanno letto come “un modo per evitare una bocciatura ufficiale” da parte dell’esecutivo comunitario. Ora che il ddl è stato approvato dovrà essere inviato di nuovo all’Ue affinché ne valuti l’adesione al diritto comunitario. “Riteniamo che non ci sia nulla da temere”, ha assicurato in aula il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.

Come ha notato l’Associazione Luca Coscioni, “se l’Ue approvasse la commercializzazione di carne coltivata, l’Italia non potrebbe vietare ad altri Paesi dell’Unione di portarla da noi”. In altre parole, “a pagare il prezzo di questa proibizione saranno soprattutto le imprese italiane costrette a rinunciare alla produzione e scoraggiate a investire nella ricerca”.

Francesco Lollobrigida | Foto Alanews – Ecodibasilicata.it

 

Cosa prevede la legge

Il testo è stato approvato con i soli voti della maggioranza. Il Partito democratico si è astenuto, mentre Movimento 5 Stelle, +Europa e Alleanza Verdi Sinistra hanno votato contro.

Obiettivo dichiarato del provvedimento è “tutelare il patrimonio zootecnico nazionale, riconoscendo il suo valore culturale, socio-economico e ambientale, assicurando al contempo un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini-consumatori“. In occasione dell’approvazione in prima lettura al Senato, nel luglio scorso, il titolare dell’Agricoltura aveva invocato il principio di precauzione.

Oltre allo stop alla produzione e alla commercializzazione, il testo messo a punto dai ministeri di Agricoltura e Salute vieta anche l’uso della denominazione “carne” per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. Così come è vietato l’utilizzo di terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria (dalla bresaola alla bistecca). Lo scopo, sostengono, è porre un freno al cosiddetto “meat sounding” e favorire acquisti più consapevoli da parte del consumatore.

Sul fronte sanzioni, oltre alla confisca dei prodotti è prevista una multa da 10mila a 60mila euro (o equivalente al 10% del fatturato se questo supera i 60mila euro). Per chi vìola il divieto inoltre è prevista la chiusura dello stabilimento di produzione da uno a tre anni e, per lo stesso periodo, l’esclusione da contributi, finanziamenti o agevolazioni statali o dell’Unione europea. Alle medesime sanzioni è soggetto chiunque finanzi, promuova o agevoli in qualunque modo le condotte di produzione o commercializzazione.

Cos’è la carne coltivata (non sintetica)

Dal punto di vista tecnico, quando si parla di carne coltivata si fa riferimento alla carne prodotta a partire da cellule animali nutrite con sieri di origine vegetale o animale all’interno di bio-reattori, che consentono loro di crescere fino a diventare tessuto muscolare.

La definizione “carne sintetica”, largamente impiegata, è impropria perché il processo produttivo non prevede reazioni di sintesi chimica. La carne coltivata “viene prodotta a partire da cellule staminali di muscolo prelevate dall’animale tramite biopsia”, spiega all’Ansa Stefano Biressi, professore di biologia molecolare all’Università di Trento. “Le cellule vengono coltivate in bioreattori con un liquido di coltura che contiene elementi nutritivi e fattori necessari a indurre prima la moltiplicazione, poi il differenziamento e la maturazione in cellule muscolari. L’intero processo produttivo può richiedere alcune settimane: per ottenere un pezzo di muscolo servono milioni di cellule”.

Carne coltivata | Foto ANSA/ US MEMPHIS MEATS – Ecodibasilicata.it

Dove è già realtà: dagli Usa a Singapore

Mentre l’Italia è il primo Paese al mondo a bandirla, altrove la carne coltivata – dalle polpette agli hamburger passando per bistecche e filetti di pesce – è già realtà. È il caso degli Stati Uniti, dove il governo federale lo scorso giugno ha dato il via libera alla commercializzazione del pollo coltivato in laboratorio e resto sarà sul menù di due ristoranti Usa. Ben prima degli States, Singapore ne consente la vendita dal 2020. Si può trovare anche nei locali di Tel Aviv. Per vederla sui banconi dei supermercati però ci vorranno ancora alcuni anni. Anche perché i prodotti ottenuti non sono ancora del tutto paragonabili a quelli originali e hanno dei costi ancora molto elevati per una produzione su larga scala.

I vantaggi della carne coltivata

La carne coltivata promette di essere più salubre e controllata di quella tradizionale e soprattutto di ridurre il ricorso agli allevamenti intensivi, a tutto vantaggio dell’ambiente, grazie alla riduzione delle emissioni di gas serra, del consumo di acqua, energia e suolo. Un’alternativa capace di sfamare una popolazione mondiale in continua crescita, che secondo le Nazioni Unite nel 2050 sfiorerà i 10 miliardi di persone. Senza contare il risvolto etico della carne prodotta in vitro che non prevede la macellazione di animali.

D’altra parte allo stato attuale “fare stime dell’impatto ambientale è difficile, perché ogni prodotto richiede ingredienti e metodiche differenti”, osserva l’esperto. “Bisogna poi considerare che molti degli studi che definiscono la carne coltivata come più energivora e dannosa per l’ambiente valutano processi produttivi e protocolli sperimentali che spesso usano prodotti e standard molto raffinati (mutuati per esempio dalla medicina rigenerativa) che ovviamente non potrebbero essere applicati a una produzione alimentare su larga scala“.

Federica Giovannetti

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